INTERVISTA AL FILOSOFO MASSIMO CACCIARI
Innovazione tecnologica, futuro delle città, buona amministrazione e libertà personali messe in pericolo dalla emergenza sanitaria, Marco Emanuele intervista il filosofo Massimo CACCIARI, per The Science of Where Magazine.
L’ultimo saggio di Massimo Cacciari è “Il lavoro dello spirito. Saggio su Max Weber”, pubblicato quest’anno da Adelphi.
Tra i massimi intellettuali del ‘900, Max Weber è del tutto contemporaneo di fronte alle sfide che il mondo pone alla politica e all’amministrazione. Ci fai un quadro di questa grande attualità?
Credo che l’insuperabile lezione di Weber, proprio per il tempo che viviamo, consista nella necessità di integrare in una visione di insieme sistema economico, etica (nel senso proprio dell’ethos, delle forme di vita storicamente determinate), e cioè dimensione dei valori o delle “convinzioni”, sistema tecnico-scientifico e politica. La capacità di Weber di restare saldamente “specialistico” in ciascuno di questi ambiti e insieme cogliere come soltanto nel loro insieme determinino il nostro destino, resta appunto insuperabile, e tuttavia credo che a questa lezione occorra ispirarci. Nel mio saggio Il lavoro dello spirito ho trattato in particolare il nesso tra sistema della scienza e sistema della libertà, nesso che il razionalismo e l’idealismo classici avevano assunto quasi come presupposto, e di cui invece proprio Weber coglie tutta la problematicità. Senza scienza, organizzata sul piano globale, non c’è innovazione, senza innovazione non c’è sviluppo economico, non c’è capitalismo. Ma il Beruf scientifico non è in quanto tale dipendente dal sistema capitalistico e dai suoi fini. Il Politico si colloca nello spazio, aperto a ogni conflitto, tra produzione di ricchezza effetto del “cervello sociale” (ma oggi “incarnato” nel sistema tecnico-economico) e liberazione del lavoro comandato. Il mio saggio “spinge”l’analisi weberiana verso questo possibile esito pratico-politico.
Vorrei che Ti soffermassi sul significato, tanto discusso quanto spesso non capito, dell’espressione “politica come professione” …
Beruf è vocazione-professione. Beruf è anche il lavoro del politico. Vi è dunque analogia – ma tra dimensioni del tutto distinte: essere e dover-essere. L’analogia si fonda sul concetto di responsabilità. Anche il politico, per rispondere, deve partire dall’analisi della situazione di fatto, conoscerla, su questa base impostare il proprio progetto, e inoltre mostrare in modo razionalmente convincente che i mezzi per conseguire il proprio fine sono realisticamente acquisibili. L’idea weberiana è l’opposto di ogni demagogia. Comporta formazione di ceto politico, organizzazione, partiti. Per Weber democrazia perde ogni significato se si astrae da questa prospettiva – democrazia diviene l’anticamera della più nera reazione.
La tecnologia, tra le altre, è una sfida che sta riconfigurando il mondo, i rapporti di forza, la natura stessa dello Stato e della democrazia. Immersi in un cambio di era, occorre un pensiero adeguato. Cosa ci insegna la filosofia? Perché, oggi, è così necessaria ?
Oggi è proprio la “gabbia di acciaio”che si va chiudendo: tra un capitalismo globale finanziario( e sradicato da ogni contesto statuale – o connesso solo a grandi interessi imperiali), formidabili strutture burocratiche( militari in primis), sistema della scienza e dell’innovazione, potere politico. Queste dimensioni vivono in simbiosi negli spazi imperiali, che competono su scala planetaria (e spaziale). Ma nel mio saggio insisto, per le ragioni su esposte, che questo non è un destino…La filosofia è stata co-scienza negli ultimi 5 secoli della missione di liberazione che il beruf scientifico contiene nella sua origine.
Un ulteriore elemento che va ripensato, anche attraverso la tecnologia, è il futuro delle nostre città. Qui chiedo una riflessione all’amministratore …
Città è parola polisemica, come tutte quelle di cui facciamo abuso – libertà, giustizia, ecc. Le città attuali sono territori, centri nevralgici di una rete che copre l’intero pianeta – le competitive sono quelle in grado di attrarre investimenti e intelligenze. Non importa dove collocate -e neppure tanto le dimensioni. Occorre che siano dotate di servizi efficienti e che vi si possa formare quella simbiosi tra scienza, economia e politica, di cui ho parlato. E qui il cerchio sembra chiudersi contraddittoriamente – poiché una tale simbiosi è la causa del progressivo disfacimento dello spazio pubblico e dell’idea stessa di democrazia. Eppure non possiamo che affrontare la sfida, pena essere dei puri reazionari.
Di fronte al COVID rischiano di scontrarsi massimalismi tanto inutili quanto dannosi. Io credo molto nel ruolo degli intellettuali e del pensiero critico. Quale futuro vedi?
Il Covid non è che l’ultima delle emergenze. Viviamo in regime di emergenza dagli anni 90 – in Italia anche prima, col terrorismo e le “leggi speciali”. Poi 11 settembre, poi terrorismo islamico, poi crisi economica, poi immigrazione incontrollata, ora pandemia. E via via si è sgretolato la spazio pubblico, si sono pressochè “sciolte” le organizzazioni sindacali e politiche, il parlamento da anticamera dei partiti è diventato camera di nulla, a fronte di un’inesorabile crescita del potere degli esecutivi. O i democratici troveranno il modo di riformare il sistema, tenendo ben presente l’oggettiva drammaticità delle stesse emergenze, e quindi l’esigenza di decisione politica – o la stagione delle democrazie liberali è condannata a finire.