Ricordo che queste riflessioni sono parte di un percorso di ricerca sul rapporto tra condizione umana, innovazione, complessità e relazioni internazionali. È importante sottolinearlo per dare continuità a ogni singolo articolo: si tratta, infatti, di un work in progress.
> English Version
CITTA’ PANDEMICHE
Le città, immerse nella pandemia, ci mostrano una situazione oggettivamente innaturale. Ciò che risulta subito evidente, percorrendole, è l’assenza di relazione umana: la pandemia ha aggravato questo problema che potremmo riassumere nell’espressione “società divisa” contenuta nella più ampia “società disuguale”.
È bene che, grazie alle inarrestabili innovazioni tecnologiche, si ragioni del futuro delle città, di smart cities, di quale mobilità vivremo, di come ci muoveremo, di come si riconfigureranno i servizi pubblici essenziali, di quali automobili utilizzeremo, di come cambieranno il lavoro e l’istruzione, di quali forme di governo avremo a disposizione. Perché la città, lo penso da sempre, rappresenta uno straordinario paradigma per ripensare la nostra convivenza, luogo – al contempo – del locale/globale, del territoriale/planetario.
Il punto che voglio porre, camminando nelle città pandemiche, è anzitutto di un ritorno nella realtà. Come sostengono alcuni critici, con l’avvento della rivoluzione digitale è tornato il concetto di massa (il capitalismo della sorveglianza secondo S. Zuboff): nel distanziamento sociale ciascuno di noi è massa nella massa.
Sovrapporre l’innovazione a questo disagio, senza affrontarlo, non risolve ma aggrava il disagio stesso.
NEL PIENO DEL DISAGIO
La disunione e la violenza sono caratteristiche di questo terzo millennio. Per questo richiamavo, come atti politici, l’unità e la tenerezza rispettivamente evocate da Biden e da Papa Francesco.
Ciò che va notato è che, nel pieno del disagio, nelle sue profondità, il grande assente è la visione politica. Il nostro approccio, considerando fondamentale la mediazione (l’Europa del recovery è certamente meglio di quella dell’austerity), guarda strategicamente a un pensiero politico che lavori “nella” comunità umana, e “in” ogni comunità umana, a ri-comporre il rapporto tra persona e comunità (intrapersonale, interpersonale e globale).
È fondamentale ritornare al “dentro” di chi siamo. Se non ci si immerge nella condizione umana, ben difficilmente si potrà sperare di vivere il cambio di era che stiamo attraversando con una umanità unita e capace, insieme, di accogliere le grandi potenzialità portate dalla quarta rivoluzione industriale. L’innovazione, mentre apre prospettive, altrettanto chiude panorami che consideravamo immutabili: si pensi, solo a esempio, a ciò che sta accadendo da tempo nel mercato del lavoro in conseguenza dell’impatto dell’intelligenza artificiale e del machine learning. Ma anche a ciò che sta accadendo, in conseguenza dell’impatto delle tecnologie 5G, sulla natura degli Stati Nazionali e sulla metamorfosi delle loro relazioni. La quarta rivoluzione industriale cambia ciascuno di noi, la convivenza umana e il mondo: il tutto avviene contemporaneamente.
L’essere umano, in tutto questo, continuerà ad aver bisogno di compiere scelte fondamentali, di vivere l’empatia, di avere contatti fisici, di credere in un dio o in una qualsivoglia superstizione: di tutte questo le macchine non potranno occuparsi, se non superficialmente. Anche il disagio può e potrà essere affrontato solo dall’uomo che lo vive, ri-cercando il proprio equilibrio interiore nell’equilibrio di convivenza e di realtà. È una dinamica interiore che diventa sociale e che, come vediamo ogni giorno, sta trasformando la politica.
PRIMI PASSI
La convinzione profonda di questa ricerca è che non esistano soluzioni semplicistiche. La semplificazione è nemica della complessità, dunque della realtà.
Sono affascinato dalla quarta rivoluzione industriale ma, altrettanto, dal bisogno di realtà in noi. Le due dinamiche devono evolvere contemporaneamente, toccandosi e contaminandosi. Troppo poco gli intellettuali sono impegnati a elaborare un pensiero nel presente, critico e complesso, che non può essere solo lineare o disciplinare.
Questo è il tempo in cui, considerando l’innovazione tecnologica come ciò che davvero pone in metamorfosi i nostri paradigmi interpretativi, occorre lavorare in chiave transnazionale, transgenerazionale, transdisciplinare per costruire insieme un nuovo panorama di sensi e di significati per la decisione strategica in ogni campo.
Ogni luogo, in tal modo, può diventare pluri-versitas, mondo nel mondo: abbiamo bisogno di dibattiti informali, di pensare insieme, di conoscere la realtà che evolve – e le realtà che evolvono – per intraprendere la strada del “giudizio storico” nel “bene comune”.