Il fenomeno delle challenge sui social sta in questi giorni attirando l’attenzione mediatica a seguito della tragica morte di una bambina palermitana vittima di queste pericolose pratiche.
Di cosa si tratta esattamente? Una challenge è una sfida lanciata da un utente, con più o meno follower, ad emulare un comportamento attraverso un social, sia innocuo (un balletto, uno scherzo) sia molto pericoloso (ad esempio autolesionismo o bullismo).
Secondo una ricerca Unicef del 2016 condotta su un campione di 10000 18enni in 25 paesi Perils and possibilities: Growing up online, più del 40% aveva iniziato a usare internet già prima dei 13 anni. Alla soglia dell’età adulta, la maggior parte sono consapevoli dei rischi che corrono online (53% totalmente d’accordo, 23% parzialmente d’accordo).
Ma nonostante questa consapevolezza, gli adolescenti restano fragili di fronte ai pericoli della rete e manipolabili in un momento in cui l’identità è in divenire e sono talvolta purtroppo tragici gli esiti di tale esposizione e partecipazione.
L’antropologia culturale ha fin dal secolo scorso studiato il passaggio dall’infanzia alletà adulta attraverso riti di passaggio piuttosto formalizzati, che segnavano anche nel mondo occidentale, il passaggio alle varie fasi della vita dei componenti di una comunità, spesso corrispondenti all’età biologica (nascita, pubertà, ecc.).
Se ci siano ancora oggi e che forma abbiano tali riti è la domanda che si sono posti pochi anni fa gli antropologi Marco Aime e Gustavo Pietropolli Charmet nel loro saggio La fatica di diventare grandi. La scomparsa dei riti di passaggio, edito da Einaudi. Gli autori teorizzano appunto come negli ultimi decenni si sia assistito nel mondo occidentale al progressivo impoverimento della valenza dei riti di passaggio quali ad esempio il diploma, il servizio militare, il fidanzamento nei giovani e la fluidificazione dei confini tra età giovanile e età adulta, un rapporto genitori-figli spesso fusionale e paritario.
D’altra parte un ritardato inizio della vita lavorativa dilata il periodo dell’adolescenza e costringe i giovani a un’assenza di un passaggio collettivo all’età adulta codificato, già preparato e diretto dal mondo degli adulti, ineluttabile e quindi in qualche modo rassicurante.
Si assiste invece delle pratiche autodirette tra i giovani, dove il riconoscimento non è più quello validante degli adulti che pongono limiti e contenuti e circoscrivono tali “prove”, ma virtualmente dei coetanei e il campo di gioco è nella rete, che è un territorio “orizzontale”, un mezzo privo di gerarchia.
Internet è inoltre un mezzo che vive nel presente e del presente, senza memoria e dove i limiti sono ogni volta travalicati, alla ricerca di un riconoscimento che resta pero’ poco incisivo ed estemporaneo, frustrante.