26 mila iscritti in Italia, 43 mila nel mondo. Sono i numeri, in costante crescita, di Soundreef il gestore indipendente di diritti d’autore nato nel 2011 nel tentativo, per molti utopistico, di spezzare il monopolio SIAE. Dieci anni dopo il muro è caduto, anche grazie alle direttive europee e ad alcune sentenze italiane.
Fedez e Gigi D’Alessio sono tra gli iscritti più celebri e quest’anno Soundreef è presente al Festival di Sanremo con 5 brani tra i big e uno tra i giovani.
Abbiamo incontrato il suo fondatore Davide d’Atri per farci raccontare il passato, il presente e le prospettive future della sua creatura e del complesso mondo del diritto d’autore.
Come e perché ha deciso di entrare nel mondo del diritto d’autore?
Ho lavorato fin da piccolo nel mondo della musica, ma all’università ho studiato economia. Ho unito queste due passioni, in particolare lo studio di alcuni segmenti che riguardavano il diritto d’autore, dove pensavo ci fossero delle grandi inefficienze.
In Italia da sempre c’è stato il monopolio SIAE. Perché per voi è così importante spezzarlo?
I monopoli sono quasi sempre inefficienti e devono essere giustificati da serissime ragioni a beneficio del popolo, del benessere sociale. Nel caso del diritto d’autore, questo non è assolutamente vero. Gli autori ed editori ricevevano un servizio meno efficiente, meno veloce, meno trasparente. Quindi quando ci siamo affacciati in questo settore abbiamo visto nella raccolta e distribuzione del diritto d’autore, i classici problemi conseguenti a un monopolio che durava da decenni: autori ed editori molto scontenti, utilizzatori scontenti e abbiamo capito che c’era la possibilità di fare molto meglio.
Nel resto del mondo come funziona?
In tutta Europa c’era un monopolio de facto, la SIAE non era un’eccezione italiana. Con la sola eccezione dell’Inghilterra dove c’è sempre stato il libero mercato. Dal 2014 la Comunità Europea con la Direttiva Barnier ha liberalizzato il mercato europeo e precisato che ogni autore o editore si può iscrivere alla collecting society che preferisce e ogni utilizzatore può comprare una licenza dove desidera.
In cosa si differenzia la vostra raccolta e la vostra tutela rispetto a quella della SIAE?
Noi pensiamo di prestare un servizio più veloce: portiamo i soldi più velocemente e in alcuni casi addirittura un anno prima. La nostra raccolta YouTube la rendicontiamo mensilmente, nel tradizionale ci vogliono 12 mesi. In radio e tv abbiamo un report in tempo reale, contro i 12/18 mesi del tradizionale. Poi la trasparenza: in ogni momento puoi andare nel tuo account online e vedere quanto, dove e come hai guadagnato. Vedere i singoli passaggi della tua musica. E una distribuzione analitica al 100%: ciò che è stato suonato, viene pagato. Non era così nel tradizionale dove c’erano dei criteri di distribuzione un po’ oscuri. Questo consente una ripartizione più equa, che non soffre di aggiustamenti a favore di una categoria o contro un’altra.
In un mondo fatto di streaming, di infinite stazioni radio (anche web), la tutela del diritto dell’artista è molto più complicata da garantire. Come fate?
La raccolta è un’attività quasi esclusivamente tecnologica. È stato questo fondamentalmente il grave inganno dei monopoli. Far pensare ad autori ed editori che non fosse la tecnologia al centro della raccolta e distribuzione. E questo è ancor più vero adesso, con il digitale: da una parte ci sono grandi opportunità per fare meglio, ma dall’altra parte diventa ancora più complicato. Classe per classe di diritto si va con tecnologie diverse: per le grandi piattaforme come YouTube o Spotify si usa un protocollo che si chiama DDX, che acquisisce questi dati continuamente che poi vengono utilizzati per ripartire le royalties. Su Radio e Tv abbiamo una specie di Shazam, quell’app che si usa per riconoscere le canzoni, ma professionale, che ascolta decine di migliaia di stazioni radio e tv, individua e traccia dove sono utilizzati i nostri brani. Poi per altre classi di diritto ci sono altre metodologie. È molto importante, per ogni classe, trovare una tecnologia che possa acquisire il dato il più velocemente possibile. Se hai il dato puoi pagare efficientemente.
Nel marzo del 2020, allo scoppio dell’emergenza Covid19, avete anticipato i compensi ai vostri iscritti. Una scelta meritoria per sostenere un settore che ha pagato più di molti altri. Come siete arrivati a questa decisione e come siete riusciti a sostenerla economicamente?
Non è stata una decisione semplice. Anticipare quei compensi è stato sicuramente un sacrificio, ma l’abbiamo fatto molto velocemente, sapendo che avremmo dovuto recuperare i costi da altre parti, ma dovevamo investire sia sui dipendenti per non mandarli in cassa integrazione, sia sui nostri autori ed editori, perché senza di loro il nostro lavoro non esisterebbe. Quindi: dipendenti e autori ed editori. Abbiamo dato priorità a queste due categorie e deciso di sacrificare altri costi.
Quest’anno Soundreef ha molti artisti al Festival di Sanremo. Che ruolo svolge una società di collecting in una manifestazione di questa grandezza?
Noi svolgiamo due ruoli in un festival come quello di Sanremo. Il primo è quello della riscossione dell’attività live, come se fosse un normale concerto. E in più raccogliamo i compensi per la diretta televisiva provenienti dalla Rai. Entrambe queste raccolte verranno ripartite ai proprietari di quei brani il più velocemente possibile. Per la licenza live dopo pochi giorni ci saranno già dei conteggi. Il tradizionale impiega tra i sei e i dodici mesi.