Una strategia di transizione digitale per essere “tra i migliori”
È il mantra di Vittorio Colao, che ha ripetuto anche nel dibattito sulla cooperazione digitale e la connettività presso l’Assemblea Generale Onu: “Accelerare la trasformazione digitale e favorire una società digitale inclusiva”. Non solo in Italia: “Nei Paesi in via di sviluppo, l’identità digitale è un’opportunità per superare strumenti obsoleti e sviluppare tecnologie mobili che forniscano a tutti un’identificazione”. In qualità di ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, Colao nel corso delle audizioni parlamentari ha spiegato gli obiettivi italiani a 5 anni, per essere già nel 2026 “tra i Paesi migliori”: ambire ad avere almeno il 70% della popolazione che usi regolarmente l’identità digitale, più del doppio rispetto a oggi; almeno il 70% della popolazione deve essere digitalmente abile; portare circa il 75% delle Pa italiane a utilizzare servizi cloud; raggiungere almeno l’80% dei servizi pubblici erogati online; raggiungere il 100% delle famiglie e delle imprese italiane con reti a banda ultra-larga.
Obiettivi ambiziosi, che Colao arricchisce con le cinque aree “che definiscono la nostra strategia di transizione digitale”.
- L’ammodernamento ed estensione delle infrastrutture digitali per la connettività sul territorio nazionale.
- Per la Pa, lo sviluppo del cloud e “ove appropriato” la collaborazione con i servizi del mondo privato.
- Le potenzialità dell’interoperabilità, ovvero di dati utilizzabili per offrire servizi digitali ai cittadini, riducendo così costose e ripetute operazioni fisiche con la Pa, oltre a migliorare e consolidare le politiche pubbliche basate sui dati.
- La sicurezza dei sistemi informatici.
- Lo sviluppo delle competenze digitali.
Il diritto alla connettività
La connettività, per Colao, “è un diritto. Qui vogliamo agire con decisione e rapidità perché i ritardi accumulati stanno diventando intollerabili”. Per il ministro “la copertura Ftth – Fiber to the Home – è insoddisfacente per un grande paese come l’Italia al 35% di famiglie raggiunte”. E aggiunge: “Siamo nel 2021. Riguardo alla connettività occorre anche valutare la situazione territoriale. Il Rapporto ICity Rank curato da Forum Pa stila ogni anno la classifica delle città italiane più digitali. In quella del 2020 la classifica delle prime dieci comprende esclusivamente città nel Nord, tranne una, al nono posto: Cagliari. Questo significa che chi ha la fortuna di abitare in una zona residenziale di una città di medie o grandi dimensioni, situata nel Nord Italia, è servito da un livello infrastrutturale di rete significativamente migliore di chi invece si trova in altre zone del Paese, in periferia o sulle isole. L’infrastrutturazione di rete a banda larga e l’accesso alla rete è quindi un intervento essenziale per assicurare la coesione sociale e territoriale, perché ci consente di raggiungere risultati abilitanti sul fronte della tutela dei diritti di tutti e della riduzione dei diversi divari”.
Il piano di azione
Il piano di azione di Colao vuole intervenire “tanto sul lato dell’offerta quanto su quello della domanda. Quanto all’offerta, miriamo alla copertura dell’intero territorio con connessioni ad altissima velocità, senza lasciare indietro nessuno, con un approccio agnostico teso a dare accesso a tutti con tutte le tecnologie utili per poterlo fare: fibra a casa, fixed wireless, 5G. Per raggiungere tutti incluse le scuole, gli ospedali, gli uffici pubblici e tutte le 18 isole minori entro il 2026”. E “stiamo ora lavorando al Piano per l’identificazione e la copertura per quelle aree ‘grigie’ ove non saranno previsti, nei prossimi anni, investimenti privati in reti ad altissima velocità. Faremo rapidamente la mappatura e le consultazioni.
Non appena pronto porteremo il Piano al Comitato interministeriale per la transizione digitale. È un processo complesso che prevede l’interlocuzione con il mercato e con le Istituzioni nazionali e comunitarie. Lo vogliamo velocizzare il più possibile. Sul fronte della domanda attendiamo l’approvazione, da parte della Commissione europea, delle misure relative alla fase 2 dei voucher a supporto dell’accesso alla rete di famiglie e imprese. Appena ottenuta, avremo circa 900 milioni di euro a disposizione di imprese e cittadini”. Le misure di stimolo all’infrastrutturazione e alla domanda “devono infine essere accompagnate da misure che rendano più rapida e agevole la realizzazione delle infrastrutture, da adeguate garanzie di investimento e di tempi certi per lo Stato, e da misure che stimolino l’effettiva adozione dei servizi da parte delle famiglie e delle imprese. Stiamo quindi considerando ulteriori misure di semplificazione e revisione del quadro regolatorio per accelerare le procedure e migliorare tempi e modalità realizzative per le infrastrutture di rete, fisse e mobili”.
Cloud First: l’importanza della “nuvola” per le Pa
Altra area di intervento per realizzare la transizione digitale in Italia: il Cloud. Anche in questo caso “un uso intelligente di questa tecnologia, poco utilizzata nella nostra Pa, “può non solo farci recuperare terreno perduto, ma riformare il complesso, e a volte farraginoso, rapporto tra cittadino e amministrazione. Per raggiungere questo risultato stiamo lavorando su più fronti. Il primo e principale: occorre adottare decisamente il principio ‘cloud first’. Se fino ad oggi il cloud è stata una tra le tante opzioni per la Pa, domani sarà sempre più la scelta obbligata per la conservazione sicura dei dati, per la loro elaborazione e per offrire servizi digitali”. Il cloud, per Colao, offre “quattro principali benefici per la Pa. È più sicuro. Ad oggi il 95% delle pubbliche amministrazioni pubbliche conservano i dati in strutture inadeguate a proteggere i nostri dati. Il cloud ci aiuta a rafforzare la nostra sicurezza. Questo perché, riducendo la frammentazione, aiuta a poggiare la sicurezza su strutture centralizzate che per scala e investimento sono tecnologicamente più avanzate, e quindi più sicure. Poi costa meno. A fronte della spesa iniziale per la migrazione dei dati, le aziende e le amministrazioni che transitano al cloud ottengono due vantaggi: anzitutto, azzerano i costi relativi al possesso e alla manutenzione dell’hardware. Riducono così anche i costi imprevisti generati dai disservizi. Ma soprattutto i costi per incrementare i volumi e utilizzare più risorse sono marginali e non richiedono investimenti extra. Da ultimo, il cloud aiuta a migliorare la qualità dei servizi erogati. La scalabilità della struttura, per fare un esempio, consente all’azienda o all’istituzione pubblica di sostenere carichi di lavoro fluttuanti senza entrare in difficoltà nei momenti di picco. Essa, infine, abilita la fornitura di servizi e applicativi ‘as a service’, cioè pagati a utilizzo, per la pubblica amministrazione, che ne spingono il continuo aggiornamento, ne migliorano la qualità tecnologica e ne consentono il riuso ad altre amministrazioni. Oltre al ‘cloud first’, vogliamo assicurarci che le amministrazioni vengano aiutate a migrare in cloud diversi a seconda del livello di sensibilità dei dati dei quali dispongono. Questo implicherà classificare innanzitutto le tipologie di dati in ultrasensibili, sensibili e ordinari, per garantire scelte che tutelino in maniera appropriata cittadini e amministrazioni, come già fatto da molti altri paesi”. Per i dati più sensibili “intendiamo creare un Polo Strategico Nazionale a controllo pubblico, localizzato sul suolo italiano e con garanzie, anche giurisdizionali, elevate. Il Polo Strategico permetterà di razionalizzare e consolidare molti di quei centri che ad oggi non riescono a garantire standard di sicurezza adeguati. Allo stesso tempo, l’investimento in infrastrutture all’avanguardia ci consentirà di cogliere appieno le opportunità del cloud computing e aiutare le Pa a rendere più efficiente l’erogazione dei servizi. Accanto al Polo Strategico dobbiamo anche prevedere la possibilità per le amministrazioni di usufruire di efficienti cloud pubblici, economici, flessibili e costantemente aggiornati. Ma questo solo per tipologie di dati e applicazioni meno sensibili e di caratteristiche predefinite di sicurezza e protezione richiesti ai fornitori.
Una strategia di partnership europea
Ovviamente si potrà anche adottare un modello ibrido tra le due precedenti soluzioni. Inoltre, vogliamo accompagnare questo ragionamento prettamente domestico con una strategia di respiro europeo, in modo da lavorare verso quell’autonomia tecnologica e strategica che ho già evidenziato. Qui pensiamo sicuramente ad una strategia di partnership europea. Ad esempio nel 2020 i governi francese e tedesco hanno lanciato il programma Gaia-X. Lo scopo dichiarato di questo partenariato è attrarre investimenti sull’economia dei dati che muove numerosi settori produttivi in Europa agendo su standard di interoperabilità e sulla creazione di spazi-dati in diversi domini e settori industriali. Pensiamo che anche l’Italia debba giocare un ruolo attivo all’interno di questo progetto. Sono essenziali a tal fine gli sforzi del settore privato, in particolare delle associazioni di rappresentanza industriale e dei centri di ricerca. Come Ministero vogliamo dare tutto il nostro supporto istituzionale a questo progetto affinché l’Italia e il suo settore imprenditoriale individui nella collaborazione sui dati una nuova dimensione di politica industriale europea.
Prima di concludere questa seconda parte, lasciatemi dire un’ultima cosa. La ‘cloudificazione’ della Pa non è solo un grande investimento per lo Stato e per il rapporto tra Stato e cittadini, ma anche per le imprese e per l’innovazione stesse. Il passaggio al cloud, se efficiente e scalabile, consentirà la creazione di un ecosistema partecipato di imprese e startup in grado di migliorare la qualità degli applicativi e del software in uso alla Pa, come già accade in molti altri paesi. Anche da qui passa il concetto di autonomia strategica: l’autonomia non è solo figlia di investimenti statali. Beneficia anche di ecosistemi misti pubblico-privato in grado di creare la forza motrice innovativa che occorre per sviluppare vasti mercati digitali per competere globalmente”.
La gestione dei Big data
Terza area di intervento, i dati aperti e interoperabili. Il pensiero, in questi casi, va alle grandi aziende tecnologiche internazionali. In realtà il settore pubblico fra i più grandi collettori e gestori di dati. I benefici prodotti dalla diffusione degli open data sono noti. L’Unione europea ne quantifica il valore in 325 miliardi di euro, valore in aumento costante. L’interoperabilità fra le banche dati della Pa, che sembra un concetto oscuro, può ribaltare l’esperienza e la narrativa, a volte ingiusta, di una Pa distante, inaccessibile che complica la vita del cittadino, delle imprese e dei lavoratori perché è l’elemento necessario per fornire ogni servizio digitale. Vogliamo che il cittadino possieda un’unica identità digitale e interagisca con la Pa attraverso un unico ‘sportello’ digitale, attraverso cui poter consultare i propri dati anagrafici, chiedere e ottenere permessi, tracciarli qualora non arrivino in tempo, e pagare i servizi”. Un esempio? “Gradualmente, intendiamo convergere su un’unica piattaforma per le notifiche tra cittadino e amministrazione, che incentiveremo ogni cittadino ad adottare, lasciando sempre e comunque un’opzione di canale fisico per chi non potrà o non vorrà essere raggiunto solo attraverso un canale digitale”. Inoltre, “semplificare e rafforzare l’identità digitale, partendo da Spid e Cie ma arrivando ad offrire un’esperienza sempre più semplice nell’accesso ai servizi digitali, in linea con gli ambiziosi obiettivi del Digital Compass Europeo”.
Una criticità: la cyber-security
La cyber-security è la quarta area di intervento della transizione digitale: “Occorrono sistemi più sicuri, competenze adeguate e distribuite in modo razionale. Siamo già intervenuti sul fronte del coordinamento delle attività informative per la protezione dello spazio cibernetico del Paese e su quello della definizione del perimetro di sicurezza nazionale cibernetica. Ci concentreremo ora su tre interventi: primo, l’aggiornamento della strategia nazionale di sicurezza cibernetica; secondo, il potenziamento della capacità di risposta del pubblico contro gli attacchi cibernetici; terzo, il rafforzamento delle capacità di audit e valutazione”.
Competenze e capitale umano
Quinta e ultima area di intervento, il capitale umano: “Le competenze noi dobbiamo crearle, dove non esistono ancora; abbiamo il dovere di incoraggiarle, dove esistono, ma sono ancora carenti; e siamo tenuti a svilupparle, dove non sono appropriate. Guardiamo prima di tutto alla creazione delle competenze digitali. Spetta al sistema scolastico, di ogni ordine e grado, e a quello universitario crearle e sostenerne la formazione lungo tutto il percorso di studio”. Quindi, “un nostro diretto contributo al piano delle competenze digitali nella Pa. In primo luogo, creeremo unità per la trasformazione digitale che possano accompagnare sia le amministrazioni centrali sia le amministrazioni locali in tutti i processi di trasformazione digitale di cui ho già parlato. Spesso, infatti, le misure economiche non bastano ad affrontare una trasformazione digitale perché questa investe anche e soprattutto i modi di organizzarsi, di collaborare e di strutturare processi. L’articolazione territoriale andrà a vantaggio di quelle amministrazioni che hanno più difficoltà a implementare i necessari cambiamenti che comporta la transizione digitale. Le amministrazioni avranno così tutti i supporti necessari, consulenziali, strumentali e finanziari, per essere accompagnate nel cambiamento. Specularmente, prevediamo di potenziare Agid. L’Agenzia è infatti preposta a garantire la piena realizzazione degli obiettivi dell’Agenda Digitale”.