Edgar Morin è una figura centrale nel dibattito pubblico. Intellettuale indisciplinato e transdisciplinare, è entrato nella mia vita con la forza dell’umiltà e del progetto.
Oggi che siamo tecnologicamente avanzati, Morin ci aiuta a ri-fletterci nei temi fondamentali, nel profondo di “chi/dove siamo” e di “chi/dove diventiamo”. Per chi, come lui, sta per raggiungere i 100 anni, il tempo non si conta: le idee, infatti, sono immortali e quelle vere rompono una cultura ancora imprigionata nella ossessione della linearità, della certezza, della prevedibilità, della misurabilità, della razionalità “armata”.
Proprio in questo tempo di interconnessione planetaria, grazie a Morin possiamo riscoprire il “destino planetario” che ci lega. Abbiamo bisogno di uno sguardo largo, laterale, critico, visionario, complesso, capace di mostrarci la complessità della vita e le complessità delle vite. Dobbiamo intraprendere un cammino che si fa nel farsi: esso è costellato d’imprevedibilità, di relazioni, di nuovi inizi. Il destino planetario è un’esperienza, quella di noi umani in ricerca.
Volentieri, da quando frequento intellettualmente l’amico Edgar, amo metterlo in dialogo con un altro gigante del pensiero: Raimon Panikkar. Costui mi colpì, anni fa, attraverso la parola “inter-in-dipendenza”: siamo liberi in quanto siamo dipendenti, legati dal vincolo progettuale di essere parte del tutto (la lezione di Pascal), inseparabili. Siamo, pertanto, inseriti in un disegno-destino planetario che ciascuno di noi incarna in maniera unica e irripetibile.
100 italiani, tra i quali il sottoscritto, hanno accolto l’invito di Mauro Ceruti a scrivere di Morin. Il 25 giugno, per Mimesis, esce il volume collettivo intitolato “Cento Edgar Morin” che, come un grande affresco, cerca di raccontare il grande filosofo e sociologo francese. Qualcosa resterà non detto: d’altronde, Morin ci ha insegnato a lasciarci sorprendere dalla vita.