Viviamo tempi nei quali ri-entra alla ribalta l’agire politico. Mai come oggi, infatti, le classi dirigenti devono considerare come un unicum l’agire culturale e l’agire delle decisioni strategiche: ri-pensare il mondo in termini “glocali” è necessario per decidere in maniera pertinente.
In questo quadro, il “geo”, la considerazione degli spazi, è fondamentale. Perché è nei “dove” di realtà che avvengono le grandi metamorfosi, che si mostrano i grandi rischi e le grandi opportunità.
Scrivo di un dove “allargato” perché i nostri spazi si sono arricchiti del quinto dominio, cyber. L’avanzata del digitale, infatti, ha allargato i nostri spazi di realtà, di vita. Ciò che prima era palpabile, prevedibile, lineare, immediatamente percettibile e comprensibile oggi è più fluido, spesso impossibile da cogliere per una ragione che non si “arrenda” alla complessità. In fondo il problema è tutto qui, nella nostra ragione, nel nostro modo di interpretare il reale: e ciò vale per ogni cittadino, a qualsiasi livello egli si collochi nella scala sociale.
C’è un secondo elemento da considerare ed è la inestricabile interrelazione delle crisi. La pandemia ha portato in evidenza, qualora ce ne fosse bisogno, il dato che le tante sfide che stanno attraversando il pianeta (salute pubblica, cambiamenti climatici, migrazioni strutturali, aumento delle disuguaglianze, scatenamento dei rapporti di potenza e dei conflitti inter-statuali, guerre ibride, vuoto del pensiero politico, inefficienza dei sistemi democratici liberali, distanza tra i fora globali e le realtà territoriali) si presentano davanti a noi come un’unica sfida.
Qui il pensiero e l’azione glocali diventano necessari e urgenti. Se siamo colpiti da grandi rischi che tutti conosciamo (leggendoli, e questo è un problema, in maniera separata), vi sono altrettante opportunità. Ne cito due, come punti da approfondire e dai quali partire per costruire insieme un “progetto di civiltà”: le tecnologie della “scienza del dove”, capaci di fornirci gli strumenti per comprendere la realtà per quella che è (tecnologie e complessità si accompagnano) e per governare l’infinità di dati che produciamo (si pensi al nostro impatto sui territori); ri-pensare le città come i luoghi del glocale, spazi del “dove” nei quali elaborare i nuovi paradigmi necessari per non smarrirci laddove si sono consumati i riferimenti del ‘900 e altri, con tutta evidenza, ancora non sono emersi a sistema.
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