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Continuano, nel mondo che viviamo, gli appelli alla comunità internazionale, grida nel vuoto. Il problema è nei vecchi paradigmi culturali e operativi, non più adeguati nel mondo del terzo millennio.
Il fuoco degli incendi (anche geopolitici), lo vediamo, è ben più potente delle decisioni degli Stati: la realtà, infatti, ha “doppiato” la capacità delle classi dirigenti (a ogni livello) di essere tali.
Un amico, dopo una mia riflessione sull’Afghanistan, ha detto che su quella situazione c’è ancora molto da pensare. È proprio così e l’approccio dell’amico vale non solo per l’Afghanistan ma per tutti i conflitti-guerre che stanno percorrendo il pianeta. In aggiunta vi sono le grandi sfide che ci riguardano direttamente: si pensi alla salute pubblica, al climate change, alle disuguaglianze, alle migrazioni e via discorrendo (tutte sfide profondamente interrelate).
Aderisco all’invito dell’amico per sottolineare, ancora una volta, l’importanza di concentrare la nostra attenzione sui trent’anni che ci separano dalla caduta del muro di Berlino. Anni complessi, per un verso sfidanti ma per l’altro tragici se consideriamo che non si è colta l’occasione storica di stabilire regole chiare per la governance planetaria delle dinamiche storiche. La realtà è sotto i nostri occhi, tremendamente evidente.
Mai val bene drammatizzare. C’è un elemento, guardando oltre i tanti negativi e negativamente impattanti, che può darci visioni di futuro: è il fattore tecnologico. Da sempre l’uomo ha cercato strumenti più o meno sofisticati per migliorare la propria intelligenza, per garantirsi un plus d’intelligenza, non per svenderla a chissà quale potere occulto: oggi, realisticamente, l’intelligenza dell’uomo non è più sufficiente a porre rimedio ai danni da lui stesso generati, a guardare nell’oltre che già ci percorre (l’attività visionaria) così prevenendo ulteriori danni.
Dobbiamo dirlo con chiarezza: l’uomo di oggi ha bisogno di lasciarsi alle spalle una ragione malata, un approccio lineare e a-critico, una considerazione superficiale della realtà. Guardiamo con realistico ottimismo alle frontiere della tecnologia, immersi nella “scienza del dove”, complesso di soluzioni che aiutano le persone e le organizzazioni pubbliche e private a vedere ciò che non si vede, a governare i dati, a pre-venire disastri ambientali e danni sensibili a infrastrutture, aziende e istituzioni per mano dei rischi cyber che, ormai, costituiscono la nuova, e sempre più consolidata, natura del rischio. Non ultimo, attraverso le story map della “scienza del dove” possiamo ri-costruire l’evoluzione dei conflitti, così individuando elementi-chiave (spesso lontani nel tempo) delle parti in causa per poter individuare le ragioni di nuovi dialoghi per soluzioni pertinenti.
Le tecnologie della “scienza del dove” incrociano due ulteriori elementi geostrategici dei quali parleremo: la necessità di un pensare/agire “glocale” e l’importanza dello spazio come nuova frontiera del nostro vivere.
Così, tornando al “dove” (che definisco “dove complesso” perché riguarda il nostro territorio ma lo allarga fino allo spazio), potremmo scoprire – più intelligenti grazie alle tecnologie e con lo sguardo ampio – le possibilità per costruire un mondo equo, sostenibile, più umano.
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