Il nuovo nome ha provocato in molti una battuta: “Facebook arriva alla…Meta” oppure “va in Meta”. Mark Zuckerberg prova a far cambiare un po’ pelle al suo colosso anche se il social network manterrà il vecchio nome. Il fondatore e amministratore delegato ha confermato le indiscrezioni che erano circolate nei giorni precedenti, messo alle strette anche dagli eventi che in qualche modo lo hanno costretto, come si suol dire, a farsi venire un’idea.
Perché Meta: l’estrazione del nome è greca e si basa sul metaverso, quell’universo parallelo che si basa sulla realtà aumentata immaginato da Zuckerberg, che si propone come una sorta di Steve Jobs sempre proiettato verso il nuovo: “C’è sempre qualcosa da costruire, c’è sempre qualcosa oltre. Nel nostro dna siamo una società che costruisce tecnologia per connettere le persone. Mi auguro che saremo visti nel tempo come una società di metaverso”.
L’idea è quella di un luogo, una sorta di nuovo ecosistema dove la gente potrà interagire e creare prodotti e contenuti, che potrebbero a loro volta far nascere milioni di posti di lavoro. Così almeno filosofeggia l’ad di Facebook che deve però fronteggiare qualcosa di molto meno virtuale e virtuoso, come il calo di fiducia degli utenti, emerso anche dopo l’uscita di vari documenti interni che non hanno certo messo il social e il gruppo sotto una luce positiva.
Sono i cosiddetti Facebook Papers, nome non originale che ricorda i famosi Panama Papers o i più recenti Pandora Papers, ma che racconta se vogliamo qualcosa di ancora più grave, secondo gli utenti che spesso inconsapevolmente regalano ai social i loro dati personali, compresi quelli sensibili. Dai documenti emerge infatti la consapevolezza dei vertici rispetto ai principali difetti dell’algoritmo di Facebook che enfatizza divisioni e sentimenti di odio, ma che poco avrebbero fatto per fronteggiare il problema, mettendo invece i profitti al di sopra di tutto.
Queste sono le accuse che non piovono da oggi sul più famoso social network, ma che adesso trovano riscontro appunto in questi famigerati documenti, tanto da richiamare l’attenzione delle autorità americane compresa la Sec, l’ente federale preposto alla vigilanza della borsa. Troppo concentrato su un gruppo e una sola persona: Facebook, Instagram, Messenger, WhatsApp e altro ancora.
Le accuse partono dalla campagna elettorale che portò 5 anni fa Donald Trump alla Casa Bianca, per proseguire poi con la campagna pro-Brexit in Gran Bretagna, situazione emersa con lo scandalo di Cambridge Analytica, la società di consulenza poi fallita e di fatto confluita nell’analoga Emerdata. Ma l’apice delle polemiche si è raggiunto ora, quando le accuse di sapere e non voler intervenire sono arrivate da una manager importante, Frances Haugen, ex product manager del dipartimento integrità civica di Facebook.
Tra interviste televisive e documenti consegnati alla Sec, i colpi per Facebook sono stati molto pesanti, con accuse di non essere voluti intervenire pur conoscendo bene, anche attraverso indagini interne ma segrete, i danni provocati dalle sue piattaforme per esempio nei conflitti etnici o religiosi di paesi come l’India o la Birmania attraverso i messaggi di odio diffusi o propagati attraverso il social network.
Un maquillage, non solo esteriore, si rendeva dunque necessario, così come un cambio di strategia che passa attraverso le accuse ai media e alla politica. I primi avrebbero secondo questa tesi diffuso un’immagine falsa della società, mentre la politica sarebbe incapace di creare delle regole, anche se in realtà è proprio su questo vuoto che spesso ci si muove quando le regole non ci sono. Per questo la strada del recupero di una credibilità è comunque in salita, per una società oltretutto quotata in borsa.
Così Facebook cambia, diventa Meta, e secondo quanto spiegato da Zuckerberg, la struttura aziendale della società non cambierà, ma invece sarà diverso il modo in cui riporta i risultati finanziari. Il social network mantiene il suo nome ma anch’esso, come Instagram, WhatsApp e Oculus discenderà dalla società madre, così come nel 2015 aveva fatto Google con Alphabet. Anche se i maligni, più che al colosso di Mountain View, sostengono che Zuck si sarebbe ispirato alla Philip Morris, il gigante del tabacco divenuto Altria nel 2001.
Solo il tempo ci dirà se con la nascita di Meta e con il nuovo maquillage, Zuckerberg e il suo gruppo saranno riusciti a uscire da quel vicolo cieco nel quale sembra li stiano cacciando inchieste e polemiche. Intanto, nonostante qualche momento “down” come il blackout mondiale avvenuto poche settimane fa e costato qualche miliardo, Facebook & C. continuano a ospitare post e interventi di vario tipo. E almeno qui in Italia, se c’è crisi non lo si nota entrando normalmente sui social, tra foto di gattini, di “piatti del giorno” e polemiche o indignazioni spesso inutili e gratuite.
Senza mai dimenticare, tuttavia, che l’importante è sempre l’uso che noi facciamo di tutto, perché Facebook è servito a riallacciare amicizie lontane nello spazio e nel tempo, o a crearne di nuove. Solo che, se sull’uso che si fa, chi doveva sorvegliare non lo ha fatto abbastanza, beh… è grave. E allora, comunque, si va verso la nuova Meta.