Il presente è ormai digitale, il futuro lo sarà ancora di più. Per tale motivo, ormai, occorre un’alfabetizzazione di base, per tutti indipendentemente dal proprio lavoro, o specializzazione, o attività. Anche l’artigiano che batte il ferro, per dire, o il muratore che lavora in un cantiere e passa la sua giornata a creare muri di mattone, non potranno non avere una formazione digitale di base. Già questo è un parametro nel quale alcuni paesi esteri sono più avanti, e proprio per questo non si può rimanere indietro, e non può permetterselo un paese che fa parte del G7.
Lo strumento per il salto di qualità c’è, è quello determinante fornito dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, occasione unica per l’Italia e per un mondo del lavoro che si sta velocemente ridisegnando, in prospettiva di una diffusione della tecnologia 5G destinata a modificare radicalmente le nostre vite, soprattutto se affiancata al metaverso, che virtualizzerà sempre di più la vita degli esseri umani, pensiamo solo alla possibilità già esistente di “visitare” virtualmente i musei rimanendo comodamente a casa.
Lasciando da parte questa prospettiva che evoca maggiormente la vecchia e ormai praticamente sorpassata letteratura di fantascienza, è indubbiamente vero che sarà indispensabile avere competenze digitali nel mondo del lavoro, di qui in avanti, qualunque sia il proprio mestiere o professione, che sia di carattere tecnico o meno.
Si basa su questo l’annuncio che Vittorio Colao, ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, ha dato in un’intervista concessa al direttore del quotidiano La Repubblica, Maurizio Molinari: il governo italiano stanzia nel Pnrr 500 milioni per la formazione digitale di base. Questi fondi serviranno per brevi corsi che forniranno le competenze digitali, quelle che si chiamano e-skills, con l’ennesima terminologia inglese dalla quale in questo settore non si può prescindere, anche se in qualche caso, non in tutti, esisterebbe il termine equivalente italiano.
Nel dettaglio, sono tre gli interventi previsti dal Pnrr da questi fondi, e hanno come destinatari cittadini di tutte le età, “dall’asilo alla tomba” dice Colao. Il primo è il servizio civile digitale: entro il 2024, ben 10 mila volontari forniranno competenze digitali a un milione di cittadini. Per altri due milioni di cittadini, invece, saranno istituiti 3 mila punti di facilitazione digitale, con l’ausilio di giovani-facilitatori. Per questi due interventi il finanziamento complessivo è di 195 milioni di euro.
Gli altri 300 milioni verranno investiti in cinque anni per la formazione delle competenze, creando il fondo della Repubblica digitale.
L’intelligenza artificiale, spiega Colao, ormai viene applicata anche al low tech, la bassa tecnologia e questo consente anche ad attività più piccole di poter competere con altre più grandi a costi non proibitivi. Tuttavia, alcuni dei concetti espressi dal ministro, al di là di quello base, sono comunque destinati a far discutere. Lo smart working, per esempio: si lavorerà meglio e dove si vuole, ma non meno. Anzi probabilmente di più, perché passerà il concetto della flessibilità, e questo ci permettiamo di dire aumenterà probabilmente lo stress perché lavorare in casa non consente talvolta di avere quel momento di “stacco mentale” che è importantissimo nella vita umana. Si starà sempre connessi, con quello che ne consegue, e forse Colao ma anche imprese e realtà produttive ed imprenditoriali dovranno ragionare su questa nuova filosofia del lavoro.
E lo stipendio? Indubbiamente migliore per i neolaureati che escono da corsi digitali, in particolare per le infrastrutture, ma per gli altri lavori dove comunque sarà necessario avere competenze digitali di base? Anche su questo occorrerà ragionare, perché stiamo parlando del futuro del lavoro e non certo del paese di Bengodi.
Altro concetto: la formazione sarà permanente, perché tutto è in continuo sviluppo e occorrerà anche imparare a distinguere il buono dal cattivo.
Il futuro sarà insomma digitale, le competenze minime saranno praticamente dovute. Un cambiamento che porta indubbi pregi, ma se gestito male o con approssimazione rischia di avere contraccolpi pesanti. Per questo è bene ricordare sempre che al centro della vita dev’esserci la persona stessa e non il suo lavoro. Lavorare per vivere, e non vivere per lavorare. Anche in digitale. Anche conoscendo le competenze di base per questo futuro che è già presente.