Occorre riflettere, per un progetto di civiltà, in quella “terra di mezzo” che sta tra le meta-evoluzioni tecnologiche, che proseguono incessantemente inventando nuovi ambienti di comunicazione, di consapevolezza complessa del reale dinamico, nuove forme di governo e nuove professioni, e le nostre vite quotidiane: si tratta, con grande evidenza, di uno spazio poco frequentato strategicamente dagli osservatori e dai decisori.
In quella “terra di mezzo” si consumano il disagio e le disuguaglianze, le competizioni esasperate e i tentativi di cooperazione, l’esaltazione e la sospensione delle libertà, l’evocazione retorica e la crisi de-generativa della democrazia liberale e rappresentativa. In quello spazio, incredibilmente, ancora si consumano guerre guerreggiate, attacchi a civili inermi, morti, feriti e sfollati in numeri che pensavamo di non vedere mai più. In quello spazio si consumano i cambiamenti climatici che, senza bussare alle nostre porte, diventano immediatamente siccità. In quello spazio, a causa della megacrisi nella quale siamo immersi, si trasformano le demografie e le migrazioni diventano un fenomeno ormai, e non da oggi, strutturale e sistemico. Il rischio, da lineare e prevedibile, si veste d’incertezza e l’imprevedibile ci percorre e, spesso, ci sovrasta. Tutto questo, naturalmente, accade in contemporanea e pone il nostro pensiero politico-strategico alla prova di una Storia assai, e sempre di più, complessa.
Se pensiamo alla gravità delle crisi alimentare ed energetica ci rendiamo conto a quali conseguenze stiamo andando incontro e con quale mondo dovremo fare i conti di qui a poco. E’ tragico e sifdante, e lo diciamo in termini di pensiero critico e complesso, quanto culturalmente e politicamente non riusciamo a legare insieme, a tenere integrati, lo slancio dell’innovazione e la profondità del reale quotidiano.
Cultura e politica devono viaggiare insieme. Se la tecnologia sta trasformando velocemente e radicalmente la realtà, abbiamo un pensiero e una capacità politica in grado di comprendere e di governare i processi storici nel mondo del terzo millennio ?
Le persone, ci sembra chiaro, chiedono un ritorno alla prossimità del vissuto, alla relazione, al respiro del territorio. E lo chiedono come esigenza profonda: la pandemia ci ha insegnato che, con riguardo alla salute, abbiamo bisogno di tornare al rapporto relazionale, al territorio che funziona, a strutture accoglienti e funzionali. Sempre “grazie” alla pandemia abbiamo imparato che l’istruzione e la formazione in presenza sono palestre di con-vivenza insostituibili. Altrettanto, abbiamo capito che, per migliorare le risposte scientifiche in termini di prevenzione e di cura e per rendere migliori i processi di istruzione e formazione, le tecnologie sono indispensabili.
Non si può velocizzare la vita oltre il limite di ciò che gli esseri umani possono sopportare. Il bisogno di relazione è un qualcosa che non può essere pienamente soddisfatto negli ambienti tecnologici ma che necessita di un ri-pensamento complessivo dal punto in cui siamo arrivati. Un progetto di civiltà non porta indietro l’orologio della Storia ma, al contrario, cerca di elaborare intorno al tema umanità-pianeta-sostenibilità-innovazione. Ben inteso, nella continua ricerca della pace e della sicurezza.
Tanto si è declamata l’espressione “bene comune” quanto poco si è fatto in termini culturali per ri-elaborarla e in termini politici e decisionali per realizzarla. “Comune” è qualcosa che, al contempo, non è né privato né pubblico ed è dentro entrambi; esso riguarda il senso di umanità e il destino planetario, è il luogo della relazione. “Comune” è con-vivenza che non significa agglomerarsi bensì inter-agire in un determinato contesto. La città è mosaico e laboratorio, non sommatoria.
Da qualche tempo, studiando le tante applicazioni delle soluzioni tecnologiche che vanno sotto il nome di “scienza del dove”, ci siamo resi conto di come le tecnologie siano ormai un elemento ineludibile per il governo efficace, efficiente e sostenibile dei territori, delle città, delle infrastrutture, dell’ambiente naturale.
I luoghi del con-vivere, primi fra tutti le città, portano dentro la responsabilità di alte mediazioni e di visioni progettuali. E’ nelle città che vediamo, ogni giorno, il rapporto tra la vita connessa e la megacrisi: ed è lì che possiamo scoprire e realizzare, recuperando la relazione e grazie alle tecnologie, il “bene comune”. Questo, non sfuggirà ai lettori, è un grande tema culturale e politico. Il progetto di civiltà che elaboriamo, pertanto, deve partire nelle città, luoghi della “glocalità”.
E’ nelle città che possiamo, e dobbiamo, lavorare a ri-congiungere ciò che è disperso. Le grandi sfide e dinamiche del nostro tempo, infatti, superano i confini degli Stati ma si incarnano nella vita cittadina laddove la megacrisi diventa questione di governo territoriale. Dall’aumento dei prezzi alla partita dell’immigrazione, passando attraverso la gestione di crisi sanitarie e ambientali, le città sono laboratori: in funzione del progetto di civiltà, si propone di superare l’espressione di “buon governo” per considerare quella di “governo complesso per il bene comune”.
Le reti di città, oggi attive per la condivisione di buone pratiche, devono trasformarsi in reti strategiche di governo dei processi complessi e glocali. Ci vogliono classi dirigenti che siano “addestrate” alla complessità e alla glocalità, ovvero al fatto che la megacrisi è sia com-presenza di diverse crisi che ricaduta locale di crisi globali. La città, in sostanza, è l’ambiente ideale per governare, mai smettendo di studiarlo, il tema umanità-pianeta-sostenibilità-innovazione.
Vedi il nostro primo docufilm – Talking Milan. Milano si racconta – TALKING MILAN-MILANO SI RACCONTA. LA “SCIENZA DEL DOVE” DIVENTA PRODOTTO TELEVISIVO