Anticipiamo l’intervista ad Adriana Cerretelli che sarà pubblicata sul cartaceo di The Science of Where Magazine in uscita a dicembre.
Adriana Cerretelli, giornalista de Il Sole24Ore, vive tra Milano e Bruxelles. Esperta di Europa, Nato e questioni globali che segue da anni con grande interesse e passione.
Negli ultimi mesi, l’Europa è stata messa duramente alla prova dalla guerra in Ucraina. Quale prospettiva vedi per una effettiva ‘autonomia strategica’ del Vecchio Continente particolarmente nel campo energetico ?
Ci voleva una guerra a ridosso dei suoi confini, l’aggressione russa all’Ucraina ma l’obiettivo ultimo di ribaltare l’ordine di sicurezza europeo post-guerra fredda, l’ambizione di Vladimir Putin di riportare indietro l’orologio della storia recuperando la perduta proiezione geopolitica dell’ex-impero sovietico-zarista, in particolare nell’est-Europa e ci voleva il contemporaneo e brutale ricatto energetico di Mosca per dare la sveglia all’Europa comunitaria, per la prima volta nella sua storia minacciata nelle sue sicurezze. Di qui il primo serio tentativo, dalla sua fondazione, di dotarsi di una politica comune e di un mercato integrato dell’energia per sottrarsi dalla soverchiante dipendenza russa. Almeno nelle intenzioni.
Nei fatti, il traguardo di un’effettiva autonomia strategica è realistico solo in tempi lunghi e con investimenti ciclopici anche in rinnovabili, idrogeno, nucleare come nelle infrastrutture. Tra massicce sanzioni contro la Russia e accelerata diversificazione dei fornitori, Stati Uniti, Norvegia, Qatar, l’Europa sta tagliando in modo strutturale il vecchio cordone ombelicale con Mosca. Al tempo stesso tra riempimento degli stoccaggi, acquisti comuni, disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità da quello del gas, riforma del TTF, tentativo di imporre un tetto al prezzo del gas, sta ponendo le basi di una crescente integrazione energetica a 27.
La strada è obbligata ma accidentata. Se sulle sanzioni l’unità Ue finora ha tenuto, sul resto si avanza lentamente con pesanti danni collaterali: inflazione record, bollette stratosferiche, industrie in ginocchio, sovvenzioni pubbliche a go-go, tassi alti e recessione economica. Con 27 mix energetici nazionali e tassi di dipendenza dalle forniture russe estremamente diversi tra loro e decisioni da prendere all’unanimità, più di tanto non si riesce ad accelerare.
Autonomia strategica fa rima con sicurezza. Quale quadro geopolitico vedi avanzare tra impegni transatlantici ed Eurasia ?
Se sulla sicurezza energetica la strada è tracciata, l’autonomia strategica sul fronte militare appare ancora acerba. Con la globalizzazione dovunque in frenata, gli squilibri di potenza in subbuglio, la competizione Stati Uniti-Cina ai ferri corti, l’aggressione di Putin all’Ucraina ha dato un’ulteriore spallata al disordine planetario e messo a nudo le troppe debolezze strutturali dell’Europa. La quale, di fronte al caos circostante, non poteva che reagire stringendosi allo scudo di Stati Uniti e Nato ricompattando così il polo occidentale.
Scelta obbligata. Alla quale se ne accompagna immediatamente un’altra: dopo lo shock della presidenza Trump, l’”America is back ”dell’Amministrazione Biden che mantiene però il baricentro geopolitico sul Pacifico anche se la guerra ucraina ne riporta momentaneamente il pendolo verso l’Atlantico, l’Europa è ormai consapevole che la solidarietà atlantica non potrà mai più essere a senso unico ma dovrà comportare impegno e responsabilità sempre più condivise.
Dunque euro-difesa non più rimandabile. Un’autonomia strategica da coniugare però all’interno della struttura Nato – e non al di fuori come auspicato dalla Francia di Macron – prima di tutto perché Parigi non raccoglie i necessari consensi europei e poi perché i ritardi tecnologici e militari accumulati dall’Ue sono tali e tanti che i tempi di realizzazione sarebbero quasi eterni.
Il pilastro europeo dell’Occidente non potrà comunque prescindere dal dialogo economico-commerciale e politico-strategico con la contigua Eurasia: non ci sono solo la via della Seta e le sue infrastrutture a legare i due mondi. C’è la Nuova Comunità politica dei 44, il forum di cooperazione esteso dall’Islanda al Caucaso passando per Turchia e Gran Bretagna, che si concentrerà per ora su energia e sicurezza in risposta all’invasione russa dell’Ucraina per valorizzare le sinergie tra i 27 e i paesi limitrofi in assenza di un possibile allargamento Ue.
Nel breve l’interlocuzione con la Russia di Putin appare un esercizio acrobatico dagli sbocchi e interessi incerti. Quella con la Cina di Xi resta invece una realtà ineludibile a patto di ottenere un ragionevole riequilibrio degli interessi reciproci.
Un tema che torna è quello del rapporto tra interessi nazionali e sovranità comune: ‘chi decide cosa’. Quale Europa, secondo te, sarebbe più resiliente e competitiva ?
Esclusa per ora una svolta federale che non pare nelle corde di nessun Governo, l’Europa procederà con alti e bassi all’insegna del pragmatismo, barcamenandosi tra difesa degli invitti interessi nazionali e l’imperativo di una sovranità comune sempre più estesa se davvero vuole acquisire peso e credibilità globali che non ha.
Massima resilienza, il mantra maturato all’ombra delle emergenze Covid, energia e guerra, e recupero accelerato della competitività tecnologica e industriale sono le due chiavi con cui si intende governare il futuro. Grazie al supporto di un piano da circa 2000 miliardi di euro, finanziato in parte con debito comune, tra bilancio pluriennale Ue e Next Generation Eu per riformare e modernizzare il modello di sviluppo europeo avviato verso la transizione verde e digitale, una politica industriale aggressiva e una politica di difesa adeguata. Grazie alla riforma del patto di stabilità che coniughi crescita economica e sostenibilità del debito in una logica di graduale riduzione secondo piani nazionali concordati con Bruxelles che diano spazio agli investimenti strategici di comune interesse.
La trama del disegno è chiara. Lo è meno la volontà politica comune di realizzarlo.
Tradizionali motori dell’integrazione europea, Francia e Germania sembrano entrate in una fase di estrema incomunicabilità, soprattutto in fatto di energia e difesa. La Francia di Macron al secondo mandato presidenziale non trova una solida maggioranza di Governo, vede indebolita la sua influenza europea e teme concorrenza diretta e subalternità a Berlino. Dopo quasi 20 anni di merkelismo superstar, la Germania si ritrova con un governo di coalizione a tre dalla convivenza difficile, un cancelliere, Olaf Scholz senza un gran carisma, un modello di sviluppo messo in crisi dall’eccesso di dipendenza dal gas russo, perdita di competitività della sua industria incrinata anche dall’agguerrita concorrenza cinese, inflazione record e recessione più acuta che altrove.
Di qui la tentazione della “Germania First” in Europa, le sbandate unilateraliste con i 200 miliardi di sussidi a famiglie e industrie contro i rincari energetici, i 100 miliardi investiti nel rilancio della Bundeswher, i rischi di rottura del mercato unico e boicottaggio di fatto di iniziative comuni. Senza parlare dei contrasti Est-Ovest su prevalenza del diritto europeo su quello nazionale, contrapposizioni tra atlantismo e europeismo. Rischi:impotenza decisionale o rottura dell’unità. Entrambi proibiti se davvero l’Europa vuole darsi un’identità solida e un futuro autonomo e ambizioso.
L’Europa è dentro il grande tema del confronto tra USA e Cina. Come ridare voce al Vecchio Continente sui grandi temi del terzo millennio come azione contro il climate change, salute pubblica e rivoluzione tecnologica ?
Esclusa la sfida climatica di cui è stato antesignana solitaria anche se ora sugli investimenti subisce il sorpasso degli Stati Uniti, l’Europa su quasi tutto il resto va a rimorchio. È accaduto con i vaccini anti-Covid e continua ad accadere sulle frontiere più avanzate della tecnologia, dall’intelligenza artificiale in giù. Tenta di risalire la china ma con le conflittualità di interessi, anche industriali, si sbarra la strada da sola. A scapito dell’autonomia.
L’Italia è alla prova decisiva dell’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Nel contesto europeo e globale, quale ruolo potrà avere il nostro Paese ?
Sulla carta l’Italia ha le potenzialità per essere protagonista in Europa, accanto a Germania e Francia, Spagna e Polonia. La sua posizione geografica ne fa un ponte naturale verso Mediterraneo, Medio Oriente e Africa e giustifica anche il suo posto di rilievo nella Nato.
Nei fatti il paese, terza economia dell’euro ma con un debito pubblico che sfiora il 150% del Pil, ha enormi fragilità che ne erodono stabilità e ambizioni politiche. I 200 miliardi del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza sono l’investimento che l’Europa fa sull’Italia per ovviare ai suoi storici malanni, rilanciarne la crescita e garantirne la sostenibilità del debito con riforme e modernizzazione accelerata.
Il Governo Draghi l’ha finalmente rimesso in carreggiata. Ora tocca al Governo Meloni proseguire l’opera. Prima di tutto attuando fino in fondo il PNRR per sfruttare la sua generosa dote europea. Se avrà successo, non solo l’Italia ma l’Europa intera potranno tirare un sospiro di sollievo. In caso contrario il paese rischia di diventare l’ambita preda dei partner, europei e non, per spartirsene le spoglie.