L’argomento dell’intelligenza artificiale è difficile non solo da affrontare, ma anche da approcciare. Ci troviamo di fronte a qualcosa di impalpabile, ma insieme così determinato da poterci cambiare la vita per le molte applicazioni possibili nella quotidianità. Può dare una mano all’essere umano, ma anche avere conseguenze devastanti. Per questo cerchiamo di farci aiutare da alcuni esperti che la studiano ormai da tempo, non solo per individuarne le insidie, ma anche per renderla nostra amica e alleata, per esempio in chirurgia attraverso la stessa robotica già in grado di operare pazienti a distanza, oppure in quelle attività dove può essere messa al servizio del talento umano.
Per farsi un’idea, quando si deve approfondire un tema, si cerca di scremare ciò che su di esso è stato scritto. Molti di noi hanno conosciuto l’AI – acronimo di Artificial Intelligence – attraverso i deepfake, video o audio che da subito richiamano l’etica sotto molti aspetti partendo da contenuti reali, che possono essere di un personaggio famoso ma anche di chiunque di noi, come il volto e la voce, e si creano dei falsi riproducendone i movimenti. Bonariamente, come scherzo, sono state prese le voci di cantanti famosi anche defunti, facendo loro cantare brani che certo non appartengono al loro repertorio, con risultati a volte buoni e in altri casi esilaranti.
Nulla da ridere c’è invece in un altro possibile uso dell’AI in questo ambito: per esempio si potrebbe prendere un video vero di un qualsiasi capo di stato e crearne uno fasullo facendogli dichiarare guerra ad un altro paese. Oppure prendere una persona qualsiasi e trasformarla con un deepfake in un serial killer o in una persona dai comportamenti illeciti. O inventarsi un outing di un personaggio famoso. Sono queste le frontiere che si temono e alle quali naturalmente il mondo cerca di prestare attenzione, i governi e gli organismi sovranazionali e internazionali – sperando che tutte le nazioni del mondo su questo agiscano in buona fede – sono chiamati a controllare l’uso che si fa dell’intelligenza artificiale, delle sue applicazioni che ovviamente vanno ben oltre un video o un audio.
Spiega Luis Burattin, giovane imprenditore che sta studiando le potenzialità dell’AI per sviluppare siti web o stazioni radiofoniche: “E’ importante essere consapevoli dei limiti dell’intelligenza artificiale. Nonostante i progressi compiuti, ci sono ancora sfide da affrontare. Ad esempio, l’interpretazione dei dati da parte dell’intelligenza artificiale può essere influenzata da pregiudizi o errori nel set di dati di addestramento. È fondamentale adottare un approccio etico nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale e monitorare costantemente i risultati per evitare discriminazioni o problemi di privacy”.
In più c’è un problema pratico,che può essere un deterrente per chi pensa all’AI per ridurre i costi delle risorse umane nell’ambito del lavoro: “L’intelligenza artificiale – spiega ancora Burattin – può essere costosa da implementare e richiede risorse tecniche specializzate. È necessario investire in infrastrutture e competenze adeguate per sfruttarne appieno il potenziale”. Non ultima è la questione della fiducia degli utenti che potrebbero rifiutare i sistemi di automazione o la condivisione dei propri dati con l’AI.
Visto dalla parte dell’utente, l’unico antidoto all’uso distorto dell’intelligenza artificiale è nella consapevolezza, e ancora di più nella conquista di essa da parte di tutti noi, il cosiddetto empowerment. Ma c’è il tempo per costruire questa consapevolezza? Non è un problema di oggi e non nasce adesso, come sottolinea Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori e considerato sull’argomento uno dei massimi esperti in Italia: “Anche le tecnologie del secolo scorso, se ci pensate, potevano produrre effetti nefasti se utilizzate inconsapevolmente: oggi l’AI si innesta in uno scenario, quello delle competenze digitali, dove l’empowerment della cittadinanza è già molto basso. La pandemia ha accelerato l’avvicinamento ai canali digitali, pensiamo ai social media da parte di classi di fruitori, non perfettamente edotti delle proprie potenzialità e dei rischi di questi strumenti. Basti pensare all’abuso che oggi si fa dei social media non solo da parte dei più giovani ma anche dei pubblico di là negli anni, che li ha scoperti durante la pandemia”.