Scrivere di ‘strategia’ è operazione complessa perché tocca molte dinamiche inter-in-dipendenti, non solo non separabili l’una dall’altra ma vincolate l’una nell’altra.
Anzitutto, non può esservi strategia che non ponga al centro il fattore umano con tutte le sue contraddizioni. Stiamo cercando, nel nostro lavoro ‘in-strategy’, di definire dinamicamente un pensiero geostrategico. La strategia si forma nella vita e nei suoi ‘dove’ e capire cosa vive nel profondo dei mondi e del mondo è fondamentale per non limitare il discorso strategico ai fattori geopolitici.
In secondo luogo, occorre considerare come la strategia – nel contesto multipolare del mondo e dell’esperienza umana – per essere efficace debba essere sostenibile. Qui entra in gioco il corretto rapporto tra uomo, natura e tecnica (se ne è parlato, nei giorni scorsi, alla Pontificia Accademia di Scienze Sociali), laddove il pensiero tecnico (e gli strumenti sempre più avanzati delle tecnologie) sembra volersi distaccare dalle complessità dell’umano per dominarle e determinarle: complessità dell’umano che, abbiamo scritto, deve essere motore propulsore di qualsivoglia strategia sostenibile.
Capovolgere il rapporto tra uomo, natura e tecnica, ponendo quest’ultima al primo posto, inevitabilmente genera de-generazioni. E lo fa a vari livelli e in profondità: trasformando il capitalismo in senso deteriore (lasciando che si allarghi a dismisura la forbice tra i ricchi e i poveri ed erodendo le classi medie); spezzando le relazioni sociali; esacerbando le disuguaglianze in tutti gli ambiti; facendo de-generare la policrisi che ci attraversa, a cominciare da quella ambientale; lasciando continuare il pericolo circolo vizioso di ‘svuotamento’ delle democrazie; e, ultimo ma non ultimo, non accorgendosi dei ‘segni totalitari’ che percorrono le nostre società sotto forma di ‘violenza per la violenza’ (male banale).
Rispetto alle tecnologie (si pensi in particolare all’intelligenza artificiale), lo abbiamo scritto più volte, l’approccio non può che essere ‘tecno-realista’. Serve capacità strategica per capire che sia l’evoluzione che l’involuzione ci appartengono e che, dunque, tutto ciò che accade nasce in noi e dipende dal nostro agire. Non possiamo negare il corso del progresso: semmai possiamo contribuire a governarlo nell’interesse dell’umanità e del pianeta e non a esclusivo profitto dei produttori di AI.
In questa prospettiva, il fare strategia è lavoro di ri-costruzione. Lo è nel pensiero (ri-costituendo il giusto rapporto ‘uomo-natura-tecnica’); lo è nella convivenza (i nuovi termini dello stare insieme, pur mediati dalle tecnologie); lo è nel ri-pensamento dei luoghi (città, territori), spesso oltraggiati da violenze e da guerre e, sempre più spesso, da male banale, disagio diffuso, carenza o mancanza di relazioni umane e di senso comunitario.
Tra mediazioni e visioni, la sfida è aperta.