Anticipiamo l’intervista a Don Andrea Ciucci, coordinatore della sede centrale della Pontifica accademia per la vita (Santa Sede) e segretario generale della Fondazione vaticana RenAIssance per l’etica dell’intelligenza artificiale, che sarà pubblicata sul Magazine cartaceo in uscita per la Conferenza di Esri Italia del 10 e 11 maggio 2023.
Come nasce e quale è il significato della Roma Call for AI Ethics Roma Call for AI Ethics ?
Nel 2016, Papa Francesco volle rinnovare le attività della Pontificia Accademia Pro Vita. Ci diede due input: il primo, ricordare che la vita non è un tema solo per i cattolici e che dovevamo aprirci a tutti, dialogare apertamente; il secondo input che la vita non riguarda solo i primi o gli ultimi cinque minuti ma tutto il tempo nel quale siamo chiamati ad abitare la Terra. Così, oltre ai temi sensibili della bioetica, avemmo l’intuizione che, per custodire la vita, era necessario lavorare sugli orizzonti tecnologici e sulle loro conseguenze, tra opportunità e rischi, per ogni uomo e per l’umanità. Da qui nacque, nel 2020, la Rome Call for AI Ethics.
Inoltre, abbiamo considerato come la ricerca tecnologica avanzata fosse ormai uscita dalle università, che si svolgesse in partenariato tra università e industria e, molto spesso, fosse ad esclusivo appannaggio dell’industria. E, proprio dall’industria, è venuto il bisogno di maturare una visione etica. Non a caso, tra i primi firmatari della Call, vi sono due tra i maggiori rappresentanti delle aziende tecnologiche: il Presidente di Microsoft, Brad Smith, e il Vice Presidente Esecutivo di IBM, John Kelly III.
Infine, la scelta di fare una Call, e di non produrre un documento vaticano sul tema, fu dettata dalla necessità di condividere con i soggetti interessati alcuni decisivi punti di riflessione.
La Fondazione RenaAIssance, dentro la Pontificia Accademia Pro Vita, sta lavorando molto sulla promozione della Call e in profondo nella ricerca etica. Quale approccio occorre maturare verso le tecnologie ?
Personalmente assumo fino in fondo la vita umana e la sua storicità, la sua complessità. Dobbiamo domandarci: le tecnologie legate all’intelligenza artificiale sono solo uno strumento molto raffinato o ci dicono qualcosa in più ? Si fa un gran parlare della cosiddetta intelligenza artificiale “generativa” (ChatGPT, per utilizzare un nome balzato agli onori della cronaca) che ha messo in crisi soprattutto chi difendeva l’aspetto meramente strumentale di tale tecnologia. Dobbiamo confrontarci e occorre mediare tra posizioni troppo “ingenue” (il progresso a ogni costo) e la chiusura totale. Nessuno di questi due approcci aiuta.
Non dobbiamo demonizzare ma occorre essere vigili e critici. Pensiamo a due caratteristiche delle tecnologie d’intelligenza artificiale. La prima è l’incredibile velocità: siamo di fronte a un fenomeno all’ apparenza inarrestabile. La seconda caratteristica è che il tema è globale “fin da subito” ma che non può essere regolamentato da un pensiero unico, da qualunque parte del mondo esso provenga: come ogni fenomeno umano, anche quello di cui stiamo parlando s’incarna nelle diverse culture e assume caratteristiche differenti a seconda dei contesti. Possiamo dire che abbiamo a che fare con un vero e proprio “mosaico tecnologico”.
Papa Francesco sottolinea l’importanza dell’ “algoretica”. L’idea di base della Call è di promuovere un senso di responsabilità condiviso tra organizzazioni internazionali, governi, istituzioni e aziende tecnologiche nel tentativo di creare un futuro in cui l’innovazione digitale e il progresso tecnologico garantiscano la centralità dell’uomo.
Il Suo libro, ”Scusi, ma perché lei è qui ? Storie di intelligenze umane e artificiali”, ha il sapore di un’esperienza nell’ oltre, nel futuro già presente. Come lo presenterebbe ai nostri lettori ?
Come la necessità di abitare lo sviluppo tecnologico. Siamo dentro un iper-dinamismo che, dalla ricerca alla realizzazione dei prodotti finali, supera in velocità qualsiasi altro fenomeno d’innovazione che la storia dell’uomo abbia conosciuto.
Una lezione che ho imparato viaggiando e incontrando varie esperienze, e dialogando con ciascuna di loro, è che non possiamo abitare lo sviluppo tecnologico in maniera “fissista”. Non stiamo parlando di qualcosa di esterno a noi: siamo noi esseri umani, soggetti agenti e dinamici, che generiamo le tecnologie. Non è solo un problema di applicazione.
Attenzione a non abbandonarci a un pensiero pre-determinato, tipico di chi gioca sempre in difesa: nel mondo aperto e interconnesso, l’innovazione tecnologica è un fatto e un fattore globale e planetario. Siamo “homo viator” e, per dirla à la Machado, il cammino si fa camminando.
Un’ultima domanda. Paolo Benanti scrive della “condizione tecno-umana”. Lei come la interpreta ?
E’ sempre più evidente che noi abitiamo il mondo in modo tecnologico. L’innovazione è parte integrante delle nostre vite. Una cosa mi fa sorridere: va di moda dire che ci piace mangiare cibo naturale. Riflettiamo: nel momento stesso in cui accendiamo un fuoco e cuociamo qualche alimento, facciamo un’operazione tecnologica. La mediazione tecnologica, non da oggi, è nel nostro agire.
Noi esseri umani siamo limitati e, fin dagli albori della civilizzazione, ci siamo serviti di strumenti tecnologici per svolgere attività che non potevamo realizzare senza supporto.
Il “digital twin” è antico quanto l’uomo: si pensi, solo per fare alcuni esempi, alla prima ascia, al primo fuoco acceso, alle pitture nelle chiese rupestri.