The Science of Where Magazine incontra Charles Hankla, associate professor presso la Georgia State University.
> English Version
Nel tuo articolo “Will Biden’s America change course on China and trade?” (East Asia Forum) sostieni che l’Amministrazione Biden adotterà un approccio ibrido in politica estera. Puoi spiegare questa idea ai nostri lettori?
L’Amministrazione Biden rischia di essere combattuta tra due tendenze concorrenti nella politica estera economica. La prima è il tradizionale internazionalismo del consenso post-guerra fredda, in cui l’America lavora a creare e a espandere istituzioni e accordi internazionali liberali. La seconda tendenza è il populismo “America First” incarnato dall’Amministrazione Trump, indisponibile a sostenere i costi della leadership e sospettosa del libero scambio e delle istituzioni liberali. Io sostengo che la politica estera economica à la Trump abbia infranto il consenso liberale del dopoguerra e abbia attirato molti sostenitori sia a destra che a sinistra. Per questo motivo, Biden non sarà in grado di riprendere “business as usual” nella politica commerciale. Allo stesso tempo, Biden è molto più multilateralista in politica estera e il suo team include pensatori più sistematici e strategici di quelli di Trump. Di conseguenza, mi aspetto che la Presidenza Biden sia caratterizzata da alcuni elementi populisti fusi con un più ampio multilateralismo liberale. La stessa Amministrazione la chiama “una politica estera per la classe media”.
È chiaro che la Cina è uno dei punti fondamentali su cui l’Amministrazione Biden dovrà confrontarsi. Siamo in una nuova “guerra fredda”?
Senza dubbio la Cina rappresenta, e rappresenterà, una delle sfide di politica estera più pressanti e complesse per l’Amministrazione Biden. Ciò che rende tale rapporto così complesso è che gli Stati Uniti e la Cina non sono in una nuova guerra fredda ma, piuttosto, in uno stato di dipendenza reciproca mista a sospetto reciproco. A differenza degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, che avevano pochissimi legami economici, gli Stati Uniti e la Cina alimentano congiuntamente l’economia mondiale. Uno non può funzionare senza l’altro. Allo stesso tempo, l’incredibile ascesa della Cina rappresenta una minaccia senza precedenti per la preminenza americana, nonché una sfida al sistema americano come modello. Mantenere una relazione così reciprocamente vantaggiosa ma tesa è davvero una sfida, e questo non è vero solo nell’arena economica. Gli Stati Uniti dovranno bilanciare i loro interessi commerciali e d’investimento con le dovute rassicurazioni agli alleati nella regione che gli sforzi cinesi per espandersi nel Mar Cinese Meridionale e altrove saranno contenuti.
Il tema del multilateralismo si scontra sempre di più con il consolidamento di approcci nazionalistici e autarchici. Che futuro vedi per il mondo post-pandemia?
Nel 2020, la pandemia – combinata con il precedente affermarsi dei governi populisti in tutti i continenti – ha dato origine alla più grave crisi globale nel corso di una generazione. I governi populisti di tutto il mondo hanno abbracciato lo sciovinismo e il mercantilismo nazionali e la pandemia ha chiuso anche i confini più fluidi. Alcuni hanno temuto che questi eventi segnassero la fine del multilateralismo e dell’ordine mondiale liberale. Tuttavia, sono un pò più ottimista. In primo luogo, credo che le istituzioni multilaterali esistenti siano troppo robuste per essere facilmente sostituite: i governi continuano a fare molto affidamento su di loro ed esse continuano a svolgere una funzione insostituibile. Inoltre, una volta terminata la pandemia, è probabile che l’impegno globale non governativo raggiungerà livelli ancora più importanti. Per quanto riguarda i governi populisti e nazionalisti, la mia sensazione (certamente non dimostrabile) è che siano entrati in una parabola discendente. Trump non è più Presidente e molti altri populisti – Modi, per esempio – sono stati indeboliti. Naturalmente, il mondo non tornerà semplicemente a quello che era un decennio fa ma credo che la cooperazione globale sia troppo radicata per essere seriamente minacciata a lungo termine.