Mix esplosivo
Viviamo tempi duri. E’ chiaro, per chi vuole vedere, il mix tra la pandemia, le crescenti disuguaglianze all’interno degli Stati e a livello globale (dal reddito all’accesso alle potenzialità tecnologiche), la violenza diffusa (non solo terroristica) e le difficoltà delle società a mantenersi coese: il tutto è immerso nella crisi degenerativa del pensiero politico e della efficacia delle democrazie liberali. Dobbiamo considerare, contemporaneamente, alcuni evidenti fallimenti strategici e la necessità di visioni alternative e radicali.
Un chiaro fallimento
Una globalizzazione senza regole insiste sugli universali culturali come soluzione ai problemi dell’umanità. Se ci sono invarianti umani, non ci sono universali culturali. E’ come se la globalizzazione si fosse sradicata dalle realtà concrete, meta-sistema capace di auto-regolarsi e di garantire benessere diffuso. Tutto questo si è rivelato essere una grande illusione mentre siamo nel pieno di una grande trasformazione, di un cambio di era. Le regole della globalizzazione devono prima di tutto risolvere il nodo (irrisolto) del rapporto tra locale e globale: il che significa, in una visione complessa, il rapporto tra sistemi valoriali, culturali e religiosi, sistemi politico-istituzionali, sistemi economici, sistemi giuridici.
Ciò che sta esplodendo sono le dinamiche negate dalla globalizzazione come meta-sistema. Non si tratta, allora, di rifugiarsi nell’autarchia, nell’esaltazione delle identità nazionali ma è venuto il tempo di ripensare il senso delle “società aperte”.
Aperti al mondo, nei mondi. La città come paradigma
La città è sostanza di convivenza. E’ nella dimensione della città, sempre più strategica, che possiamo ritrovare le ragioni di relazioni umane sacrificate a una competizione senza cooperazione. Nella città avviene il confronto e l’incontro tra differenze, ciò che è propedeutico a un “dialogo complesso” e in grado di costruire convivenza. Tutto è da costruire: è fondamentale, però, avere la mente libera dai paradigmi novecenteschi che abbiamo ereditato. Quando si dice “città come paradigma” si intende che abbiamo trascurato quella dimensione nella quale possiamo condividere la paura (ineliminabile dal nostro orizzonte di vita), ritrovare le ragioni della solidarietà, affermare le nostre aspirazioni senza compromettere quelle degli altri. Abbiamo tanto insistito su parole come multiculturalità e interculturalità: la città, nel cambio di era, è paradigma di transculturalità.
La conoscenza del fattore umano. Tecnologie di prossimità
In molti casi, il dibattito sulle nuove tecnologie si incaglia tra coloro che sono del tutto favorevoli e altri che considerano le nuove tecnologie (soprattutto in ambito digitale) come le nuove frontiere del dominio e del controllo. Il dibattito, dunque, è “prigioniero” tra posizioni contrapposte: le tecnologie che esaltano la libertà individuale e collettiva o le tecnologie che negano la stessa libertà.
La nostra opinione coincide con quella di Bruno Ratti (fondatore di questo magazine) che, sulle pagine di The Science of Where Magazine, pone il problema della tecnologia per una società più umana. Questa prospettiva è corretta e straordinariamente interessante da percorrere: si tratta, infatti, di finalizzare gli strumenti tecnologici alla centralità del fattore umano. La tecnologia nasce da noi, ci appartiene, è frutto della nostra capacità d’innovazione.
Il fattore umano cambia, si trasforma, entra in metamorfosi: ma occorre mantenere strategica la possibilità di (ri)creare reti di prossimità. La tecnologia può aiutare, velocizzare i processi, ridurre i tempi e gli spazi: ma la tecnologia non ha anima, è l’uomo che deve cercarne il senso cercandolo in sé e nel confronto/incontro/dialogo in e con ogni altro e in e con ogni realtà fino al livello planetario.
Accademia della realtà
Umiltà, responsabilità, mediazione, creatività e visione sono parole-chiave nel cambio di era. Avremo modo di approfondire in future riflessioni. L’ Accademia della realtà è l’idea di un laboratorio di pensiero per l’azione e la decisione strategica. Non possiamo più aspettare: è nel cambio di era che dobbiamo lavorare dentro la realtà per trasformarla. Abbiamo bisogno di un pensiero complesso, da think tank, transdisciplinare, in grado di considerare l’emergente (la parte dell’iceberg che il capitano della nave non vede …) e i “cigni neri” come dimensioni che fanno parte della nostra vita.
Verso nuove classi dirigenti
Alla fine del percorso, in un cammino da costruire camminando, vediamo la formazione di nuove classi dirigenti. Se la tecnologia sta trasformando radicalmente e velocemente le nostre vite e la convivenza, cosa può fare ogni uomo ? Crediamo che nuove classi dirigenti debbano assumere la responsabilità di (ri)pensare il lavoro, le relazioni internazionali (verso quale ordine globale stiamo andando ?), percorsi di dialogo interculturale e interreligioso (nella presa d’atto della inter-in-dipendenza globale), le tante forme possibili della democrazia, nuove riconfigurazioni dello Stato, regole adeguate per dinamiche planetarie (nulla nasce più nei nostri territori e all’interno dei nostri confini).
USA 2020
La “nuova” coppia presidenziale (politica) americana ci consegna, inevitabilmente, realismo e speranza. Se non possiamo immaginare che Biden sia l’uomo del capovolgimento strategico dell’America nel mondo, concordiamo con le posizioni espresse in campagna elettorale. Le grandi sfide che percorrono il mondo hanno certamente bisogno di moderazione, di mediazione e di dialogo (e Biden può essere molto utile) ma il Presidente e la sua vice dovranno prima di tutto guardare all’interno del proprio Paese: infatti, prima di fare di nuovo grande l’America, Biden & Harris dovranno renderla un Paese unito (soprattutto nelle città). In questi quattro anni troppe sono state le tensioni, all’interno e a livello planetario, che hanno lavorato a dividere gli americani tra di loro, gli USA dal mondo e altrettanti Stati tra di loro. Se alcune cose di Trump, come sempre accade, sono da salvare (si pensi all’operazione degli Accordi di Abramo), altre questioni rimangono completamente da ripensare. Ne citiamo solo quattro: il climate change e gli accordi internazionali in materia; la Cina e ciò che essa comporta; una governance globale (multilaterale) con particolare riferimento a regole per i giganti del digitale; la protezione delle minoranze a livello planetario. Detto tutto questo, con l’atteggiamento critico di chi rispetta il nuovo corso americano, il cambio di era e la pandemia restano lì a porre in metamorfosi tutte le nostre certezze e la qualità delle nostre decisioni strategiche.
Change of era (and the new american course)
Explosive mix
We live in hard times. It is clear, for those who want to see, the mix between the pandemic, the growing inequalities within states and globally (from income to access to technological potential), widespread violence (not just terrorist) and the difficulties of societies to remain cohesive: all is immersed in the degenerative crisis of political thought and of the effectiveness of liberal democracies. At the same time, we need to consider some strategic failures and the need for alternative and radical views.
A clear failure
An unregulated globalization insists on cultural universals as a solution to humanity’s problems. If there are human invariants, there are no cultural universals. It is as if globalization had eradicated itself from concrete realities, a meta-system capable of self-regulating and guaranteeing widespread well-being. All of this has turned out to be a great illusion as we are in the midst of a great transformation, of a change of era. The rules of globalization must first of all resolve the (unsolved) knot of the relationship between local and global: which means, in a complex vision, the relationship between value, cultural and religious systems, political-institutional systems, economic systems, legal systems.
What is exploding are the dynamics denied by globalization as a meta-system. It is not a question, then, of taking refuge in autarchy, in the exaltation of national identities, but the time has come to rethink the meaning of “open societies”.
Open to the world, in the worlds. The city as a paradigm
The city is the substance of coexistence. It is in the increasingly strategic dimension of the city that we can find the reasons for human relations sacrificed to competition without cooperation. In the city there is a confrontation and an encounter between differences, which is preparatory to a “complex dialogue” and capable of building coexistence. Everything has to be built: it is essential, however, to have the mind free from the twentieth-century paradigms that we have inherited. When we say “city as a paradigm” we mean that we have neglected that dimension in which we can share fear (which cannot be eliminated from our life horizon), rediscover the reasons for solidarity, affirm our aspirations without compromising those of others. We have insisted so much on words such as multiculturality and interculturality: the city, in the change of era, is a paradigm of transculturality.
Knowledge of the human factor. Proximity technologies
In many cases, the debate on new technologies gets stuck between those who are entirely in favor and others who consider new technologies (especially in the digital sphere) as the new frontiers of domination and control. The debate, therefore, is “prisoner” between opposing positions: technologies that exalt individual and collective freedom and technologies that deny freedom itself.
Our opinion coincides with that of Bruno Ratti (founder of this magazine) who, on the pages of The Science of Where Magazine, poses the problem of technology for a more human society. This perspective is correct and extraordinarily interesting to follow: it is a question, in fact, of finalizing the technological tools to the centrality of the human factor. Technology comes from us, it belongs to us, it is the result of our capacity for innovation.
The human factor changes, transforms, enters into metamorphosis: but the possibility of (re)creating proximity networks must be kept strategic. Technology can help, speed up processes, reduce times and spaces: but technology has no soul, it is the man who must seek its meaning by looking for it in himself and in confrontation / encounter / dialogue in and with each other and in and with every reality up to the planetary level.
Academy of reality
Humility, responsibility, mediation, creativity and vision are key words in the change of era. We will have the opportunity to deepen in future reflections. The Academy of reality is the idea of a thought laboratory for strategic action and decision. We can no longer wait: it is in the change of era that we must work within reality to transform it. We need a complex, think tank, transdisciplinary thought, able to consider the emergent (the part of the iceberg that the captain of the ship does not see …) and the “black swans” that are part of our life.
Towards new ruling classes
At the end of the path, in a path to be built by walking, we see the formation of new ruling classes. If technology is radically and rapidly transforming our lives and coexistence, what can each man do? We believe that new ruling classes must take on the responsibility of (re)thinking about work, international relations (towards which global order are we going?), paths of intercultural and interreligious dialogue (in acknowledging global inter-in-dependence), the many possible forms of democracy, new reconfigurations of the State, adequate rules for planetary dynamics (nothing is born anymore in our territories and within our borders).
USA 2020
The “new” American presidential (political) couple inevitably gives us realism and hope. If we cannot imagine that Biden is the man of the America’s strategic reversal in the world, we agree with its positions expressed in the election campaign. The great challenges facing the world certainly need moderation, mediation and dialogue (and Biden can be very useful) but the President and his deputy will first have to look inside their own country: in fact, before doing “America great again”, Biden & Harris will have to make it a united country (especially in the cities). In these four years too many tensions, both internally and on a global level, have worked to divide the Americans among themselves, the USA from the world and many other States among them. If some Trump’s decisions, as always happens, are to be saved (we think of the operation of the Abraham Accords), other issues remain to be completely rethought. We mention only four: climate change and international agreements on the subject; China and what it entails; a global (multilateral) governance with particular reference to rules for the digital giants; the safeguarding of minorities worldwide. Having said all this, with the critical attitude of those who respect the new American course, the change of era and the pandemic remain to put all our certainties and the quality of strategic decisions into metamorphosis.